Una nazione in coma

Non cercate l'Italia.
Quella che avete amato e sperato è morta.

«La mia “prima Liceo” era un curioso e bizzarro agglomerato di quattro ragazze e una quarantina di maschi. Il più anziano era fuggito dalla Lombardia dov’era stato nella Guardia nazionale. Facevamo lunghe passeggiate a piedi, nostro ritrovo divenne il convento di San Giuseppe in via Nomentana, covo di fascisti latitanti e tedeschi, e, dall’altra parte della grande via, l’ampia casa accogliente dell’ingegner Landi, e poi di suo figlio Pietro. Preside del “Regina Elena” era un professore di greco, siciliano tutto scatti, che si chiamava Baniamino Stumpo. Benché “epurata”, la mamma volle conoscere questo mio preside che la ricevé, mi pare, in una delle feste di Natale. Il preside Stumpo risultò lettore ed estimatore del Babbo, ricordò subito Il Libro di Didone e altri titoli, apprese con una costernazione, «prossima alle lacrime», disse poi la mamma, quel destino politico che aveva colpito il Babbo. Una visita ai registri della scuola, che il preside fece portare, la persuasero che nella casa degli zii non facevo proprio niente.

In un raduno romano del 1996 venne a conoscermi il professor Silvio Vita, figlio di una ragazza ch’era stata una delle mie quattro compagne della prima liceale di quella scuola, e mi raccontò le imprese, dall’autore dimenticate, di colui ch’era chiamato, dei dintorni di via Sicilia, “il terrore del Tasso”».